II Domenica di Quaresima

II Domenica di Quaresima – Anno C – Word

Questo brano è interpretato da alcuni come una breve anticipazione dell’esperienza del paradiso, concessa da Gesù a un gruppo ristretto di amici per prepararli a sopportare la dura prova della sua passione e morte.
Bisogna sempre essere molto circospetti quando ci si accosta a un testo evangelico perché quello che, a prima vista, può sembrare la cronaca di un fatto, a un esame più attento, può rivelarsi un testo denso di teologia, redatto secondo i canoni del linguaggio biblico. Il racconto della trasfigurazione di Gesù, che viene riferito in modo quasi identico da Marco, Matteo e Luca, ne è un esempio.
Oggi ci soffermeremo soprattutto su alcuni particolari significativi che si ritrovano soltanto nella versione di Luca.
Solo questo evangelista specifica la ragione per cui Gesù sale sul monte: va là per pregare (v. 28). Gesù è solito dedi-care molto tempo alla preghiera. Non sapeva fin dall’inizio come si sarebbe svolta la sua vita, non conosceva il destino che lo attendeva, lo venne scoprendo gradualmente, attraverso le illuminazioni che riceveva durante la preghiera.
È in uno di questi momenti spiritualmente intensi che Gesù si rende conto che è chiamato a salvare gli uomini non mediante il trionfo, ma attraverso la sconfitta.
A metà del suo Vangelo, Luca comincia a rilevare i primi segnali dell’insuccesso: le folle, prima entusiaste, abbandonano Gesù, qualcuno lo prende per un esaltato e un sovversivo, i suoi nemici tramano per ucciderlo. È com-prensibile che egli allora si interroghi sul cammino che il Padre vuole che percorra. Per questo «va sul monte a pregare».
Durante la preghiera, il volto di Gesù cambia d’aspetto (v. 29); a differenza degli altri evangelisti, Luca non parla di trasfigurazione, ma di «cambiamento d’aspetto». Questo splendore è il segno della gloria che avvolge chi è unito a Dio. Anche il volto di Mosè diveniva brillante quando egli entrava in dialogo con il Signore (Es 34,29-35).
Ogni autentico incontro con Dio lascia qualche traccia visibile sul volto dell’uomo.
Dopo una celebrazione della Parola vissuta intensamente, tutti torniamo alle nostre case più felici, più sereni, più buoni, più sorridenti, più disposti a essere tolleranti, comprensivi, generosi e anche i nostri volti sono più distesi e sembrano rifulgere di luce.
La luce sul volto di Gesù indica che, durante la preghiera, egli ha compreso e fatto suo il progetto del Padre; ha capito che il suo sacrificio non si sarebbe concluso con la sconfitta, ma nella gloria della risurrezione.
Durante questa esperienza spirituale di Gesù compaiono due personaggi: Mosè ed Elia (vv. 30-31). Essi sono il simbolo della Legge e dei Profeti, rappresentano tutto l’Antico Testamento. Tutti i libri sacri d’Israele hanno lo scopo di condurre a dialogare con Gesù, sono orientati a lui. Senza Gesù l’Antico Testamento è incomprensibile, ma anche Gesù, senza l’Antico Testamento, rimane un mistero. Nel giorno di Pasqua, per far capire ai discepoli il significato della sua morte e risurrezione, egli ricorrerà all’Antico Testamento: «Cominciando da Mosè e da tutti i profeti – nota l’evangelista – spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27).
Anche Marco e Matteo introducono Mosè ed Elia, ma solo Luca ricorda il tema del loro dialogo con Gesù: parlavano del suo esodo, cioè del suo passaggio da questo mondo al Padre. Ecco da dove è venuta a Gesù la luce che gli ha sve-lato la sua missione: dalla parola di Dio contenuta nell’Antico Testamento. È lì che egli ha scoperto che il Messia non era destinato al trionfo, ma alla sconfitta, che doveva soffrire molto, essere umiliato e rigettato dagli uomini, come è detto del servo del Signore (Is 53).
I tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni non comprendono nulla di quanto sta accadendo (vv. 32-33). Sono colti dal sonno. Difficile pensare – anche se qualcuno lo ha fatto – a un bisogno di appisolarsi perché la salita sul monte è stata faticosa e perché pare che la scena si svolga di notte (v. 37).
Notiamo un particolare: nei momenti in cui abbiamo qualche richiamo alla passione e morte di Gesù, questi tre discepoli vengono sempre colti dal sonno. Anche nell’orto degli Ulivi si mettono a dormire (Mc 14,32-42; Lc 22,45). È strano che proprio nei momenti cruciali essi abbiano sempre gli occhi appesantiti.
Il sonno è usato spesso dagli autori biblici in senso simbolico. Paolo, ad esempio, scrive ai romani: «È ormai tempo di svegliarvi dal sonno… la notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13,11-12). Con questo richiamo pressante egli vuole scuotere i cristiani dal torpore spirituale, li invita ad aprire la mente per comprendere e assimilare la proposta morale del Vangelo. Nel nostro racconto il sonno indica l’incapacità dei discepoli di capire e di accettare che il Messia di Dio debba passare attraverso la morte per entrare nella sua gloria. Quando Gesù compie prodigi, quando le folle lo acclamano, i tre apostoli sono ben svegli; ma quando inizia a parlare del dono della vita, della necessità di occupare l’ultimo posto, di diventare servi, essi non vogliono capire, lentamente chiudono gli occhi e iniziano a dormire… per continuare a sognare applausi e trionfi.
Le tre tende sono il dettaglio più difficile da spiegare (del resto l’evangelista nota che nemmeno Pietro che ne ha parlato sapeva esattamente che cosa stesse dicendo).
Chi costruisce una capanna vuole fissare la sua dimora in un posto e non muoversi più, almeno per un certo tempo. Gesù invece è sempre in cammino: deve compiere un «esodo» – dice il Vangelo di oggi – e i discepoli sono invitati a seguirlo. Le tre tende forse indicano il desiderio di Pietro di fermarsi per perpetuare la gioia sperimentata in un mo-mento di intensa preghiera con il Maestro.
Per comprendere meglio possiamo rifarci alla nostra esperienza: dopo aver dialogato a lungo con Dio non torniamo volentieri alla vita di ogni giorno. I problemi e i drammi concreti che dobbiamo affrontare ci fanno paura. Sappiamo però che l’ascolto della parola di Dio non è tutto. Non si può passare tutta la vita in chiesa o nella casa dei ritiri spirituali, è necessario uscire per incontrare e servire i fratelli, per aiutare chi soffre, per essere vicini a chiunque ha bisogno di amore. Dopo aver scoperto nella preghiera il cammino da percorrere, bisogna mettersi in cammino con Gesù che sale a Gerusalemme per donare la vita.
La nube (v. 34), specialmente quando scende sulla cima di un monte, indica – secondo il linguaggio biblico – la pre-senza invisibile di Dio. Soprattutto nell’Esodo è frequente il richiamo alla nube: Mosè entra nella nube che copre il monte (Es 24,15-18), la nube scende sulla tenda del convegno e Mosè non può entrare perché in essa è presente il Signore (Es 40,34-35).
Pietro, Giacomo e Giovanni sono dunque introdotti nel mondo di Dio e lì hanno l’illuminazione che fa loro comprendere il cammino del Maestro: il conflitto con il potere religioso, la persecuzione, la passione e la morte. Si rendono conto che anche il loro destino sarà lo stesso e hanno paura. Da questa nube esce una voce (v. 35): è l’interpretazione di Dio su tutto quanto accadrà a Gesù. Per gli uomini sarà lo sconfitto, per il Padre «l’eletto», il servo fedele del quale si compiace.
Gradito a Dio è chi ne segue le orme. Ascoltate lui – dice la voce del cielo – anche quando egli sembra proporre cam-mini troppo difficili, strade troppo anguste, scelte paradossali e umanamente assurde.
Alla fine dell’episodio (v. 36) Gesù rimane solo. Mosè ed Elia scompaiono. Questo particolare indica la funzione dell’Antico Testamento: portare a Gesù, far comprendere Gesù. Alla fine gli occhi devono rimanere puntati su di lui.
Non è facile credere alla rivelazione di Gesù e accettare la sua proposta di vita. Non è facile seguirlo nel suo «esodo». Fidarsi di lui è molto rischioso: è vero che egli promette una gloria futura, ma ciò che l’uomo sperimenta qui e ora è la rinuncia, il dono gratuito di sé. Il seme gettato nella terra è destinato a produrre molto frutto, ma oggi, ciò che lo attende è la morte. Quando e come potrà essere assimilata questa «sapienza di Dio» così contraria alla logica dell’uomo?
La risposta viene data dall’annotazione, apparentemente superflua, con cui inizia il Vangelo di oggi. L’episodio della «trasfigurazione» è collocato da Luca otto giorni dopo che Gesù ha fatto l’annuncio drammatico della sua passione, morte e risurrezione, otto giorni dopo che ha enunciato le condizioni per chi lo vuole seguire: «rinneghi se stesso e prenda la sua croce, ogni giorno» (Lc 9,22-27).
L’ottavo giorno per i cristiani ha un significato ben preciso: è il giorno dopo il sabato, il giorno del Signore, quello in cui la comunità si raduna per ascoltare la Parola e per lo spezzar del pane (Lc 24,13). Ecco allora che cosa intende dire Luca con il richiamo all’ottavo giorno: ogni domenica i discepoli che si ritrovano per celebrare l’eucaristia salgono «sul monte», vedono il volto del Signore trasfigurato, cioè risorto, verificano nella fede che il suo «esodo» non si è concluso con la morte e odono nuovamente la voce del cielo che rivolge l’invito: Ascoltate lui!
Pietro, Giacomo e Giovanni, scesi dal monte, «in quei giorni non dissero nulla a nessuno di quello che avevano visto» (v. 36). Non potevano parlare di ciò che non avevano capito: l’esodo di Gesù non si era ancora compiuto. Noi oggi, uscendo dalle nostre chiese, possiamo invece annunciare a tutti ciò che la fede ci ha fatto scoprire: chi dona la vita per amore entra nella gloria di Dio.

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